Venezia, Biennale Arte 2022. 7 padiglioni nazionali da non mancare!

L’aspettavamo da ben tre anni. Posticipata a causa della pandemia (cosa accaduta soltanto in prossimità delle due Guerre Mondiali), la Biennale Arte ritorna finalmente a Venezia e ci resta fino al 27 novembre 2022.

L’evento più atteso da tutti gli appassionati di arte contemporanea come noi (per saperne di più, rileggetevi il nostro articolo del 2019 qui), è curato quest’anno dall’Italiana Cecilia Alemani. Quest’ultima ha scelto come filo conduttore della 59esima edizione un tema onirico ed evocativo: “Il latte dei sogni”. Di primo acchitto ci siamo chiesti, il latte de che? Ma cosa si è bevuta? Facendo una rapida ricerca (non sembra ma siamo studiose, neh!) si tratta del titolo di un libro per bambini dell’artista e scrittrice surrealista messicana Leonora Carrington (1917-2011). Cecilia Alemani prende spunto dal suo universo magico, dominato dall’immaginazione e dalla possibilità di reinventarsi e trasformarsi costantemente, e sviluppa la sua proposta curatoriale intorno a tre grandi tematiche: la metamorfosi dei corpi e le loro rappresentazioni, la relazione tra gli individui e le tecnologie, e i legami che associano i corpi alla Terra.

Per la prima volta, la mostra dei padiglioni centrali (ai Giardini e all’Arsenale) è segnata da una netta prevalenza di artiste donne e da molto più spazio, rispetto al passato, alle culture non-occidentali, non-bianche e non-binarie. Ottima intenzione per carità, ma il risultato è forse un po’ troppo “woman friendly” e wokista ad ogni costo? Mah, vi lasciamo decidere!

“Il latte dei sogni” riunisce molte artiste già note – da Katharina Fritsch con il suo elefante monumentale, a Simone Leigh con il suo busto in bronzo imponente, o ancore le tele grottesche e inquietanti di Paula Rego – ma svela anche le opere di tante creatrici meno mediatiche ma altrettanto brillanti. Ce n’è davvero per tutti i gusti! Altra intrigante novità di questa edizione sono le capsule tematiche che Cecila Alemani ha immaginato come piccole mostre nella mostra dedicandole ad artiste storiche che permettono di (ri)leggere e confrontare il contemporaneo e il passato. Tappa perfetta dove lasciare la mamma che non ne può più di arte contemporanea e rompe perché vuole vedere “i quadri come nei musei” (#truestory). Con oltre 200 artisti/e, la mostra nei padiglioni centrali ai Giardini e all’Arsenale è insomma immancabile e talmente ricca da poterci passare un giorno intero (anche due); per ammirare le opere, certo, ma anche per godersi l’aria condizionata a bomba che, in estate a Venezia, è un vero plus, diciamocelo!

Ma non pensate di aver finito e poter andare a bervi uno spritz lungo il canale, no-no-no! Ci sono ancora 80 padiglioni nazionali da visitare! Niente panico, se non avete più tanto tempo o vi fanno troppo male i piedi, eccovi qui di seguito la nostra personalissima (e assolutamente non esaustiva) TOP 7!!

 Il più immersivo e straniante – Padiglione Italia, Arsenale

Gian Maria Tosatti, Storia della notte e destino delle comete

Per favore, silenzio. Questa immensa installazione si visita da soli e senza far rumore. Il padiglione italiano è un’esperienza immersiva e straniante all’interno di una vecchia fabbrica abbandonata. I macchinari sono spenti, l’appartamento di un operaio disabitato, una vecchia radio trasmette una partita di calcio, mentre un esercito di macchine da cucire riposa muto alla luce dei neon, suggerendo l’arresto brutale della produzione. Il declino del miracolo industriale italiano e della sua classe operaia risuona nel silenzio religioso dei passi dei visitatori. L’artista Gian Maria Tosatti propone qui una riflessione sulle conseguenze della pandemia e ci invita a riflettere sulla questione dello sviluppo economico delle società contemporanee e del rapporto tra Uomo e Natura. Alla fine del percorso, fievoli segnali luminosi appaiono nell’oscurità. Piccole comete che, come noi umani, attraversano l’universo illuminandolo fugacemente.

Il più feel good – Padiglione Belgio, Giardini

Francis Alÿs, Children’s Games

Varcata la soglia del padiglione belga, si ha l’impressione di essere tornati a scuola, durante l’intervallo. Lo spazio è percorso da grida gioiose e risate di bambini provenienti dai vari schermi che trasmettono le immagini della serie Children’s Game che l’artista Francis Alÿs ha cominciato a filmare negli anni 90. Dal Belgio a Hong Kong, passando per il Congo o la Svizzera, il suo obiettivo ha immortalato decine di bambini provenienti da tutto il mondo nell’atto più naturale e allo stesso tempo fondamentale per la costruzione dell’individuo: il gioco. Corse di lumache, battaglie di palle di neve, salti sulle strisce pedonali, discese sfrenate su vecchie ruote… il fascino di questi cortometraggi risiede nella loro estrema spontaneità e semplicità. Ma allo stesso tempo, queste immagini apparentemente leggere ci ricordano una verità profonda: per essere felici basta poco, basta solo ritornare bambini.

Il più instagrammato | Padiglione Danimarca, Giardini

Uffe Isolotto, We Walked the Earth

Probabilmente non il miglior padiglione, ma sicuramente il più Instagrammato! Al padiglione danese, Uffe Isolotto invita a percorrere un universo distopico in cui il mondo rurale e quello della fantascienza convivono. Cosparsa di fieno nero, oggetti ripugnanti, organi, frutti marci ed escrementi, la tradizionale fattoria danese è qui trasformata in uno scenario macabro e consumato dal tempo in cui un un centauro iperrealistico è impiccato al soffitto, un altro giace a terra poco distante, esangue, dopo aver dato alla luce un nuovo ibrido ancora incastrato nella sua placenta bluastra. Segnato dal suicidio del proprio padre, lo stesso artista descrive la sua mostra come un “teatro ossessionante della vita e della morte”. Sconsigliato ai visitatori più sensibili!

Il più intimo | Padiglione Romania, Giardini

Adina Pintilie, “You Are Another Me – A Cathedral of the Body”

Una “Cattedrale del corpo”: è così che l’artista e regista Adina Pintilie ha immaginato il padiglione rumeno. Nella sua monumentale installazione video dispiegata su grandi schermi fluttuanti nella sala buia, i corpi di amici e conoscenti si impongono maestosi allo sguardo. Li si ammira nelle situazioni più intime e svariate: mentre ballano, gridano, mangiano, mentre si abbracciano, si ascoltano respirare, o mentre si abbandonano, all’apice del piacere, in pieno orgasmo.  Il decoro minimalista, tecnologico e freddo contrasta con l’umanità delle immagini e la loro estrema naturalezza.

In una società in cui la discriminazione e le ideologie di estrema destra minacciano la libertà di ciascuno nel decidere chi essere e come disporre del proprio corpo, quest’opera celebra la connessione tra gli individui e lo stare insieme, al di là delle differenze di età, genere e orientamento sessuale.

Il più cinematografico | Padiglione Francia, Giardini

Zineb Sedira, Les rêves n’ont pas de titre

No, non siete a Hollywood, ma nella grande installazione cinematografica immersiva dell’artista franco-algerina Zineb Sedira. Tra autobiografia, finzione e documentario, la storia della sua famiglia e della sua comunità si intrecciano con quella del cinema militante degli anni 60 e 70, periodo di fermento culturale (in cui emergono le prime coproduzioni tra la Francia, l’Italia e l’Algeria) e politico (corrispondente alla seconda decolonizzazione del continente africano). All’interno dello spazio espositivo, i visitatori possono esplorare veri e propri set cinematografici, sedersi nel salotto londinese dell’artista, o accomodarsi nella sala da ballo-bistrot dall’atmosfera nostalgica (con tanto di ghirlanda luminosa, très joli!). Zineb Sedira vuole invitarci a “danzare per resistere, danzare per rinascere, danzare per sognare… e i suoi sogni non hanno titolo”. Col trattamento originale e poetico delle questioni postcoloniali e di tematiche sempre attuali come immigrazione, solidarietà, resilienza e memoria collettiva, il padiglione francese ha ricevuto una menzione speciale dalla giuria della biennale.

Il più caravaggesco | Padiglione Malta, Arsenale

Arcangelo Sassolino, Giuseppe Schembri Bonaci e Brian Schembri, Diplomazija Astuta

Vi chiederete “cosa c’entra Caravaggio, pittore di fine Cinquecento, con la Biennale?”. Il sorprendente e originale padiglione maltese propone una reinterpretazione contemporanea e minimalista della sua pala d’altare Decollazione di San Giovanni Battista. L’installazione è composta da sette vasche rettangolari rimpite d’acqua, ognuna delle quali rappresenta un soggetto dell’opera pittorica caravaggesca. Con la tecnologia a induzione, piccole gocce di acciaio fuso cadono dal soffitto all’interno di queste vasche, piccoli barlumi di luce che squarciano l’oscurità della stanza a intervalli aleatori. Quest’opera non soltanto è una brillante rivisitazione cinetica e scenografica del celebre chiaroscuro caravaggesco, ma anche una riflessione sulla violenza e le tragedie del passato che si ripetono e che solo i principi umanisti di rispetto e condivisione possono fermare.

Il più allegorico – Padiglione Polonia, Giardini

Małgorzata Mirga-Tas, Re-enchanting the World

Altro padiglione, nuova rivisitazione riuscita di un capolavoro della storia dell’arte italiana.  Il progetto di Małgorzata Mirga-Tas riprende il ciclo di affreschi di Palazzo Schifanoia, gioiello del rinascimento ferrarese, ripensandone la tecnica e i soggetti. Alle tre fasce di affreschi si sostituiscono qui immensi arazzi-patchwork di tessuti colorati e l’iconografia classicista è rimpiazzata da rappresentazioni del popolo Rom e delle sue tradizioni. Nella fascia superiore, l’artista racconta la mitica epopea dei Rom verso l’Europa. Al centro i segni zodiacali antichi sono rivisitati in chiave pop. In basso, le allegorie del Rinascimento sono state sostituite da scene della vita quotidiana della comunità durante i dodici mesi dell’anno: spiumare un pollo, giocare a carte, seppellire i morti… una rivisitazione contemporanea audace e brillante della tradizione iconografica europea, in favore di una rappresentazione positiva della più grande minoranza d’Europa. Quando l’arte ha il potere di “re-incantare” il mondo.

Description: Sara Waka

Edited by: Federica Forte