Tour alla Biennale di Venezia con Swatch, main sponsor 2019 – I quattro padiglioni più emozionanti di questa 58esima edizione!

Quest’anno col team Wakapedia abbiamo avuto l’occasione di visitare due volte la Biennale di VeneziaLa 58 Esposizione Internazionale d’Arte! Se in maggio ci siamo concentrati sul circuito off e vi abbiamo parlato di una mostra di arte e design che ci ha particolarmente affascinato alla Ca’ D’Oro (l’articolo su Dysfunctional QUI), a settembre siamo ritornati a emozionarci nella Serenissima su invito di Swatch Italia, main sponsor di questa 58esima edizione della Biennale, e abbiamo avuto l’opportunità di goderci con più attenzione i padiglioni nazionali.

Ma vi starete chiedendo: perché Swatch, brand svizzero di orologi, sponsorizza la più importante Esposizione internazionale di arte contemporanea? Fin dalla sua nascita nel 1983, Swatch ha “flirtato” col mondo dell’arte, collaborando con numerosi artisti per la creazione di modelli unici e grafiche originali. Nel 2010 questa volontà del marchio di sostenere la creazione artistica contemporanea è passata al livello successivo: Swatch ha infatti aperto lo Swatch Art Peace Hotel, una residenza artistica nel cuore di Shangai, dove artisti provenienti da tutto il mondo e da tutte le discipline sono accolti per un periodo dai 3 ai 6 mesi per concepire un’opera d’arte, individuale o collettiva, che entrerà poi nella collezione d’arte di Swatch e potrà essere presentata in diverse mostre in giro per il mondo. Swatch ha uno spazio dedicato alla Biennale di Venezia, dove espone le opere – coloratissime e super Pop – di alcuni artisti che hanno vissuto all’Art Peace Hotel. Davvero una bella iniziativa che, ammettiamolo, ci ha fatto venir voglia di inviare una candidatura Wakapedia a Swatch… sicuramente lo faremo un giorno!! 

Ma torniamo a parlare della Biennale Arte. Se non avete ancora visitato questa 58esima edizione, curata dall’inglese Ralph Rugoff, avete tempo fino al 24 novembre. La mostra si articola tra il Padiglione Centrale ai Giardini e l’Arsenale che include quest’anno 79 partecipanti da tutto il mondo. Il titolo di questa edizione è May You Live in Interesting Times, un’espressione alquanto enigmatica che può avere più livelli di lettura: da un lato, fa riferimento a un’espressione della lingua inglese a lungo erroneamente attribuita a un antico detto cinese. Questa interpretazione rivela uno dei fil rouge dell’edizione, ovvero l’impatto delle fake news e dell’over-informazione nelle nostre vite. Dall’altro lato, la frase suona come una minaccia più che come un augurio dove i “tempi interessanti” sono da intendersi come periodi turbolenti, di incertezza e crisi – crisi (si, é un inciso, la ripetizione serve a enfatizzare) economiche, migratorie, climatiche – come quelle che stiamo vivendo. Diciamolo, il tema non è dei più gai e girando attraversi i differenti padiglioni si percepisce un’atmosfera alquanto grave in cui le opere proposte inducono gli spettatori a riflettere sulle contraddizioni e la deriva della società attuale. Detto questo, la Biennale è sempre e comunque un’esperienza stimolante e numerosi sono i padiglioni che ci hanno incuriosito. Quattro in particolare ci hanno davvero colpito, lasciandoci un ricordo vivido di emozione, stupore o disturbo.

Eccovi quindi la nostra personalissima Wakapedia top 4 dei padiglioni che ci hanno emozionato di più! (avviso: non mettetevi i tacchi durante la visita alla biennale che camminerete come se non ci fosse un domani!)

1. L’emozione di un coro in spiaggia – Padiglione della Lituania

Il padiglione che ci ha commosso di piu’ è stato indubbiamente quello della Lituania e non dobbiamo essere i soli a pensarlo visto che è stato il vincitore del Leone d’Oro per la miglior partecipazione nazionale! L’opera presentata è Sun & Sea delle artiste Lina Lapelyte, Vaiva Grainyte e Rugile Barzdžiukaitė. Si tratta di una finta spiaggia, allestita al piano terra di un magazzino nei pressi dell’Arsenale, dove due volte a settimana ha luogo una performance di 8 ore che il pubblico può vedere dal piano superiore. Dei figuranti si muovono sulla spiaggia come normali bagnanti: giocano, prendono il sole, fanno una siesta… Ma a differenza di una spiaggia reale, qui in sottofondo vi sono musiche d’opera contemporanea sulle quali i figuranti (che scopriamo essere tutti cantanti professionisti) cantano le loro storie. Ne risulta un ritratto corale estremamente emozionante.

Il giorno della nostra visita, grazie a Swatch, abbiamo avuto l’incredibile fortuna di incontrare una delle artiste all’origine di quest’opera colossale: la regista Rugile Barzdžiukaitė. Sguardo gentile, grande sorriso, Rugile ci invita a sederci in uno spazio tranquillo dietro al padiglione, dove due lettini sdraio e un ombrellone girato al contrario sembravano un prolungamento della spiaggia fittizia che avevamo appena visto nella sua opera. Rugile ci racconta che è a Venezia con suo figlio, un bambino di 7 anni che partecipa alla perfomance sulla spiaggia, cantando con i figuranti, giocando a racchettoni e divertendosi come fosse veramente in vacanza. E si è talmente abituato qui che, quando va in una spiaggia normale, le chiede “Mamma, ma perché le persone non cantano?”. Rugile ci spiega poi la genesi del progetto: “Con Lina Lapelyte (compositrice e artista) e Vaiva Grainyte (scrittrice e poetessa) ci siamo dette che volevamo fare un’altra opera insieme dopo il grande successo di Have a good day, una performance teatrale in tournée internazionale già de qualche anno. Abbiamo fatto un brainstorming e l’idea iniziale era di creare una performance che esplorasse il tema del corpo umano, con i suoi difetti, le sue debolezze e il suo essere mortale. Abbiamo quindi scelto la spiaggia perché è il luogo per eccellenza dove il corpo è esposto con tutte le sue fragilità. Ci siamo poi messe a lavorare sui testi delle canzoni, la scelta delle musiche e abbiamo deciso di integrare alla performance una riflessone sul cambiamento climatico e la crisi ecologica, un’altra questione che abbiamo a cuore; ma volevamo farlo in modo sottile e quasi impercettibile” (lo si ritrova per esempio nel suono di un sacchetto di plastica scosso dal vento che si sente nella musica di sottofondo, ndr). Quando le si chiede se si aspettavano di vincere, Rugile scuote la testa sorridendo: “Non ci abbiamo proprio pensato alla vittoria, c’era così tanto da fare che non ne avevamo il tempo. Essere scelte per rappresentare il nostro Paese era già una vittoria per noi, ma quando ci hanno annunciato che avevamo conquistato il Leone d’Oro siamo state sopraffatte dall’emozione!”. Un’emozione intensa quanto quella che si prova assistendo a questa performance per 13 voci che viene rappresentata ogni mercoledì e sabato, dalle ore 10 del mattino alle ore 18. Un’esperienza davvero unica, da non perdere!

 2. Fantocci grotteschi e humour spietato – Padiglione del Belgio

Vincitore della menzione speciale della giuria, il padiglione belga alla 58esima Biennale ospita MONDO CANE, un’installazione grottesca, inquietante e irriverente di Jos de Gruyter e Harald Thys curata da Anne-Claire Schmitz. Lo spazio completamente bianco è popolato da una serie di fantocci automatizzati che, con movimenti poco naturali, riproducono alcune azioni umane caratterizzanti: riconosciamo un artista, un panettiere, un arrotino, un prete e una signora anziana. Ognuno di loro porta avanti il suo lavoro con ebete spensieratezza, tanto che la scena pare quasi una parodia di un museo etnografico strampalato. Ai margini della sala, all’interno di celle con barriere come in prigione ci sono gli emarginati: altri automi ma più inquietanti. Per apprezzare fino in fondo questa installazione, è fondamentale leggere il libretto che fa da guida: al suo interno vengono infatti raccontate le storie fittizie di ciascuno dei personaggi presenti, come il moschettiere senza denaro che deve interpretare il ruolo della statua vivente per sopravvivere, o il ventriloquo centenario narratore di storie horror realmente accadute. Quest’opera di critica sociale e le sue storie immaginarie fanno riflettere su come ognuno di noi sia un essere unico che interagisce a suo modo con i codici sociali imposti dalla comunità. Usciti dal padiglione, ci si sente un po’ strani, a metà strada tra l’inquietudine e il divertimento… nulla di meglio che uno spritz con vista sul Canale per tornare in sé e riprendere le visite!

 3. Nuovi miti e uova cosmiche – Padiglione del Giappone

Il padiglione del Giappone propone una riflessione sulla coesistenza uomo-natura e sull’impatto che le azioni umane hanno sull’ambiente. Questa questione è di grande attualità per tutti, ma in particolare per il Paese del Sol Levante: un arcipelago come quello giapponese è frequentemente colpito da disastri naturali, provocati allo stesso tempo dalla natura e dall’uomo, come l’esplosione della centrale nucleare di Fukushima, i terremoti, gli tsunami… Intitolata “Cosmo-Eggs” – in riferimento ai miti cosmogonici dell’ “uovo cosmico”- l’installazione è il frutto di un lavoro a 8 mani: l’artista Motoyuki Shitamichi presenta delle immagini dei “massi dello tsunami”, grandi sassi di origine naturale che sono stati scagliati sulle spiagge giapponesi dal fondo dell’oceano e si trovano oggi a contatto diretto con gli abitanti delle isole, ma anche con colonie di uccelli migratori e vegetazione, di cui sono diventati l’habitat preferito. Il compositore Taro Yasuno presenta una creazione musicale che ricrea il canto di uccelli attraverso un sistema meccanico che suona una serie di flauti in legno, alimentati da un grande pallone gonfiabile arancione, una sorta di “polmone” artificiale. L’antropologo Toshiaki Ishikura propone una nuova allegoria mitologica sulla relazione tra uomo e natura, creata a partire da credenze locali, miti e racconti folkloristici di varie regioni dell’Asia sul fenomeno dello tsunami. Infine, l’architetto Fuminori Nousaku ha concepito uno spazio in cui i contributi eterogenei della mostra sono unificati in un’esperienza spaziale unitaria.

 4. Una new entry sorprendente – Padiglione del Ghana

Il Ghana è una delle new entry di questa 58esima edizione, in quanto fa parte dei quattro Paesi (con il Madagascar, la Malesia e il Pakistan) che hanno per la prima volta un padiglione nazionale. Con questa prima partecipazione, il Ghana ha sorpreso tutti, critici e pubblico, per la qualità della mostra proposta che non ha nulla da invidiare ai paesi “veterani”. Intitolata “Ghana Freedom“, l’esposizione curata da Nana Oforiatta Ayim riunisce i più grandi artisti ghanesi contemporanei per dare vita a una riflessione sulla storia del paese dall’indipendenza (ottenuta dal Regno Unito nel 1957) a oggi. La dimensione geopolitica marcata di questo padiglione è valorizzata da una scenografia attraente e concepita con grande maestria: le mura ocra formano un’ellisse scandita in sei spazi che accolgono le opere degli artisti invitati. Due installazioni monumentali aprono e chiudono il percorso: il muro d’Ibrahim Mahama accoglie i visitatori all’ingresso del padiglione; una grande tenda realizzata con elementi metallici dall’artista El Anatsu – vera e propria tappezzeria astratta dai colori brillanti – segna l’uscita dalla mostra. Da non perdere anche le fotografie e i video sulla storia del Ghana, coi suoi paesaggi spettacolari da documentario National Geographic. Insomma, questo padiglione è stato una vera e propria rivelazione. La prova che uscire dai sentieri battuti dell’arte contemporanea può riservare ottime sorprese!

Description: Sara Waka

Edited by: Federica Forte

Photo: Giovanni Vecchiato